
Secondo le fonti ufficiali, la famiglia Frick coltiva la vite da 12 generazioni, nel borgo di Pfaffenheim, immerso nell’Alto Reno, a pochi chilometri a sud della città di Colmar, nel quadrante meridionale dell’appellation Alsace AOC. I discendenti di questa famiglia, Jean-Pierre, sposato con Chantal, e il figlio Thomas Frick, coltivano 12 ettari di vigneti, sparsi in un raggio di 15 chilometri dalla cantina, da 3 diversi Grand Cru (Steiner a Pfaffenheim, Vorbourg a Rouffach e Eichberg a Eguisheim), vinificandoli con l’etichetta Domaine Pierre Frick. Si tratta di uno dei Domaine più importanti in assoluto visto che Jean-Pierre è stato uno dei pionieri nell’abbracciare una filosofia produttiva biologica (1970) e, successivamente (1981), biodinamica. Ma non è tutto, perché è stato anche uno dei teorici che maggiormente si sono spesi per far conoscere questa filosofia (biodinamica) in giro per il mondo.
Si è trattato di un percorso ad ostacoli poiché, come tutti i pionieri, mancavano modelli di riferimento e quindi si è dovuto sperimentare, anche in modo eccessivo, come tra il 1970 e il 1980 quando non è stato svolto alcun lavoro sui vigneti, escluso lo sfalcio manuale degli interfilare inerbiti. Dopo quest’esperimento si è tornati a una gestione meno estrema ma comunque radicale, con l’esclusivo utilizzo dei preparati 500 (cornoletame), 501 (cornosilice), di quello di Maria Thun (un mix di sterco di vacca, basalto, gusci d’uovo e 6 preparati ottenuti dalla dinamizzazione dei compost), e della poltiglia bordolese (solfato di rame neutralizzato dalla calce), oltre all’abbandono, dal 1999, delle macchine per la lavorazione dei terreni. In cantina vige la stessa cura maniacale, con le presse pneumatiche che schiacciano gli acini molto lentamente (servono oltre 5 ore per pressare ogni singola partita), le fermentazioni che partono spontaneamente senza controllo della temperatura, e grazie ai lieviti indigeni, l’abbandono di ogni operazione di concentrazione del vino (osmosi inversa ed evaporazione sottovuoto) o di arricchimento zuccherino del mosto. Riguardo l’affinamento si è optato per grandi botti (3000litri) con oltre un secolo di vita, oramai totalmente neutre, e per quanto riguarda l’imbottigliamento l’addizione di SO2 è stata quasi interamente abolita, con le bottiglie tappate definitivamente con il tappo a corona in acciaio inossidabile, che garantisce una maturazione uniforme nel tempo e un buon potenziale di invecchiamento.
Il Pinot Noir Stangenberg nasce da uve dell’omonimo vigneto che fermentano spontaneamente e macerano per 10 giorni sulle bucce, prima di affinare per alcuni mesi in botte. L’annata 2018 sfoggia un colore rubino carico con screziature aranciate, ed un ventaglio di sentori che si apre su note di vinile, durone, ramo verde di china e pot pourri di violette, seguite da melagrana, prugna cotta, caffè tostato e cuoio scuro, con echi di grafite e incenso. Il gusto colpisce subito per l’acidità e, progressivamente, per la sensazione tattile del ramo verde di china, che si fa strada al centro del palato, assieme a dei tannini ancora molto giovani ma già eleganti, e ad un filo di morbidezza e di sapidità; il tutto arricchito dal ritorno dell’incenso, della melagrana e del vinile che accompagnano il sorso ad una chiusura fresca e vibrante.
Punteggio: 89/100
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