
Anche se ormai sono passati tre anni dalla morte di Bruno Giacosa, resta ancora davvero molto complicato parlare dei vini della “sua” cantina, guidata dal 2006 (con ruoli di sempre maggiore importanza) dalla figlia Bruna, senza fare riferimento alla figura di questo vero e proprio gigante dell’enologia delle Langhe. Nato nel 1929, Bruno cominciò molto presto, all’età di 16 anni, a lavorare nell’azienda di famiglia, per dare man forte al padre Mario che l’aveva ereditata dal nonno Carlo. Bruno era un predestinato, e questo si capiva già dalla sua straordinaria sensibilità nel leggere tra le righe la qualità di un vigneto o di un’annata, grazie a un semplice assaggio delle uve nel momento della vendemmia. Coincidenza volle che queste qualità fossero allenate intensamente nella sua gioventù quando, per conto di suo padre, ebbe la responsabilità di scegliere e contrattare, con i conferitori della cantina di famiglia, il prezzo delle uve migliori e più adatte alla vinificazione.
Questo intenso “allenamento” tornò utile al giovane Giacosa che, a soli 31 anni, prese il controllo dell’azienda di famiglia e cominciò a produrre vini con il suo nome riportato in etichetta. Fin dai primi vini Bruno diede prova della sua straordinaria abilità di négociant fino a quando, a partire dal 1980 fu in grado di acquistare, a caro prezzo, dei vigneti dall’incredibile potenzialità espressiva a Barolo e (nel 1996) a Barbaresco. A seguito di queste acquisizioni la cantina cominciò a imbottigliare vini con due linee di etichette separate: Azienda Agricola Falletto, che comprendeva i vini più prestigiosi, ottenuti dalle vigne di proprietà, e Casa Vinicola Giacosa per indicare i vini prodotti da uve acquistate da storici e preziosi conferitori, vinificate sempre nella cantina di proprietà.
Il Roero Arneis DOCG, il prodotto apparentemente più umile dei questa seconda linea, è in realtà un vino che ha sempre rivestito una notevole importanza per la cantina, anche perché le sue bottiglie coprono circa la metà dell’intera produzione. Si tratta di un vino prodotto da uve conferite, che provengono da suoli ricchi di arenarie e marne, vinificate in modo da preservarne la freschezza, con fermentazione spontanea e successivo affinamento di quattro mesi in tini neutri d’acciaio inox, seguiti da un breve affinamento in bottiglia, prima della commercializzazione.
L’annata 2020 mostra un colore paglierino di media intensità, con sentori iniziali di pesca noce croccante, kumquat, biancospino e clorofilla, arricchiti progressivamente da albicocca e acacia, con un lontano eco di silicato. In bocca l’acidità illumina il sorso, accompagnata da una buona sapidità e da un accenno di morbidezza, necessario a non sbilanciare eccessivamente il gusto complessivo, sul cui sfondo si staglia il ritorno fruttato-vegetale che accompagna la chiusura di discreta lunghezza.
Punteggio: 88/100
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