Raramente è possibile parlare di un legame tra vignaiolo e terroir con una profondità maggiore di quella che da oltre 40 anni tiene uniti Salvo Foti e i terreni vulcanici dell’Etna. Salvo è prima di tutto un uomo profondamente innamorato della sua terra, che ha studiato e raccontato senza sosta in innumerevoli lezioni in giro per il mondo, e da cui cerca di ottenere vini prodotti con tecniche che appartengono ad una ricca tradizione enologica tramandata di padre in figlio.
Oggi chi beve i vini dell’Etna ignora che quei vini venivano prodotti da secoli sui suoi fertili terreni, come testimonia l’istituzione nel 1435 della Maestranza dei Vigneri, un’associazione di viticoltori con sede a Catania, la città alle falde del vulcano. Più di 500 anni dopo Salvo, che si era già messo in luce in qualità di enologo della celebre cantina Benanti, riparte proprio dai Vigneri, raccogliendo attorno a sé un gruppo di viticoltori impegnato a utilizzare principi e tecniche storici e non invasivi, considerati l’unica via per produrre eccellenze enologiche in quei territori. Contemporaneamente comincia a produrre vino dalla sua azienda vitivinicola, situata in una frazione di Milo, Caselle, nel versante medio-orientale dell’Etna, chiamata, anch’essa, I Vigneri.
Fedele alla tradizione Salvo coltiva vigneti ad alberello a altitudini vertiginose, secondo un approccio naturale, per poi vinificare lu uve nel suo Palmento, una tradizionale costruzione, destinata alla pigiatura e vinificazione delle uve, nata in Georgia circa 3000 anni e poi migrata in Grecia, Spagna, Portogallo e Italia. Tra i vini prodotti troviamo il Vinudilice, letteralmente “vino di leccio”, che nasce nella Vigna Bosco, un piccolo appezzamento di 35 are, circondato da muri a secco di materiale lavico, a 1300 metri di altitudine. In questo minuscolo vigneto convivono piante a bacca rossa e bacca bianca (Alicante, Grecanico, Minnella e altri minori) ad alberello, che in alcuni casi superano i 200 anni di età, con una densità di 10.000 ceppi per ettaro. Mentre in vigna la coltivazione è quasi tutta manuale, e si avvale dell’aiuto di un mulo per le lavorazioni più pesanti, nel Palmento l’uva viene lasciata fermentare spontaneamente, grazie ai lieviti indigeni. Il vino non subisce nessuna chiarifica e i travasi e l’imbottigliamento vengono svolti secondo le fasi lunari.
L’annata 2020 sfoggia un colore rosa pallido, con un ventaglio olfattivo che si apre su note di fico d’India maturo, granatina di amarena, ribes rosso e scorza di cedro, seguiti da melagrana, fiori di zagara, miele d’acacia e menta fresca, con echi conclusivi di eucalipto, selce, pietrisco umido e fumé. Il palato colpisce per il meraviglioso equilibrio con cui si alternano quel tanto di morbidezza glicerica che 12,5 gradi sono in grado di offrire, la freschezza balsamica, quella citrica, e una punta di piccantezza da pepe rosa; il tutto mentre retrolfattivamente sono scanditi, con una precisione che ha del sovrannaturale, tutti i profumi già elencati al naso, con il fico d’India, il miele e l’eucalipto che persistono a lungo dopo una succosa chiusura.
Punteggio: 93/100
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